L’attaccamento genitoriale

Pubblicato il 7 luglio 2014 | Categoria: Essere genitori, Featured, Lifestyle

Attachment” in inglese significa “affezionarsi a …”. Dunque, è facile collegare tale parola a quella relazione stabile che si instaura tra il bambino e la persona adulta che si prende cura di lui dalla nascita, e che, attraverso gli scambi interattivi fra i due, genera un legame di attaccamento appunto.

Tale legame è fondamentale per il bambino in quanto serve a garantire il suo benessere, la protezione dai pericoli provenienti dall’ambiente esterno, favorisce la sopravvivenza grazie alla vicinanza della figura adulta. Il periodo durante il quale il bambino costruisce il legame di attaccamento è quello del primo anno di vita. Dal punto di vista teorico, ciò significa che il bambino costruisce una relazione con i suoi genitori non perché è spinto dalla fame o dall’esigenza di soddisfare altri bisogni fisiologici legati agli istinti, ma fondamentalmente da quella relazione che gli fornisce un contesto per “sentirsi al sicuro”.

Per raggiungere tale equilibrio il bambino mette in atto un insieme di comportamenti innati detti comportamenti di attaccamento, che tendono a far sì che l’adulto si avvicini e stabilisca un contatto diretto utilizzando segnali come il sorriso, la vocalizzazione, il pianto, il sollevare le braccia, azioni tutte volte alla ricerca della sicurezza, tutti gesti che vanno oltre al vincolo amorevole che lega genitori e figli. Ciò che è importante sottolineare è che il bambino, sin dalla nascita, è biologicamente dipendente, e manifesta il tipico comportamento di attaccamento al genitore nei casi in cui prova dolore, paura, insicurezza legata al timore di non avere la mamma vicina, o quando si trova sotto sforzo, e lo fa, generalmente, mediante il pianto.

Tale attaccamento, inizialmente, si manifesta verso uno solo dei due genitori, solitamente la madre. Infatti è proprio la madre che in tali situazioni accorre in aiuto deli piccolo e consolandolo e rassicurandolo con la sua presenza. Vi sono vari possibili schemi di attaccamento, determinati da specifiche condizioni familiari che li suscitano.

Quali sono le teorie sull’attaccamento genitoriale?

Sull’attaccamento genitoriale sono stati condotti molteplici studi da parte di illustri studiosi. Uno degli studi più importanti è quello condotto dallo psicoanalista J. Bowlby secondo il quale, fin dai primi giorni di vita del bambino, possono determinarsi tra questo e la madre tre diverse tipologie di attaccamento. Più specificamente queste sono:

  • attaccamento buono
  • attaccamento minaccioso
  • attaccamento interrotto

Nella prima tipologia di attaccamento, il bambino si sente sicuro del rapporto con la madre, appare sereno e manifesta un comportamento giocoso; nell’attaccamento minaccioso il bambino non ha piena sicurezza del rapporto con la madre e manifesta comportamenti di gelosia, di angoscia e di rabbia; nell’ultimo tipo di attaccamento la relazione con la madre viene interrotta per vari motivi, e il bambino manifesta angoscia e dolore. Lo studioso ha preso in considerazione anche l’ipotesi in cui manchino una o entrambe le figure genitoriali, in tal caso si parla di attaccamento vicariante in quanto il bambino troverà comunque altre figure di attaccamento sostitutive. A seconda del tipo di relazione di attaccamento che si viene a stabilire, il bambino percepirà emozioni diverse, quindi tanto più l’attaccamento sarà buono, tanto più positive saranno le emozioni percepite. Col tempo sono state eseguite altre ricerche in merito all’attaccamento genitoriale, tra queste spiccano quelle di Mary Ainsworth. Essa ha elaborato una procedura standardizzata, in cui il bambino è sottoposto a situazioni di stress non familiare. Tale situazione ricreata in laboratorio permette di rilevare, da parte di un osservatore estraneo, il comportamento del bambino nei confronti dell’adulto. Sulla base degli studi condotti  è dunque emerso che vi sono varie modalità di attaccamento, ovvero:

  • attaccamento sicuro
  • attaccamento insicuro evitante
  • attaccamento insicuro ambivalente
  • attaccamento disorganizzato/disorientato
  • attaccamento evitante/ambivalente

La maggior parte degli studi prende in considerazione prevalentemente le prima tre e o le prime quattro categorie. Nel primo caso il bambino manifesta il desiderio di vicinanza, di contatto fisico poiché quando è presente la figura della madre si sente autonomo nell’esplorazione dell’ambiente ma lo fa cercando  la partecipazione dell’adulto. dell’attaccamento insicuro evitante il bambino appare particolarmente autonomo e indipendente, e maggiormente centrato sull’esplorazione dell’ambiente e sui giocattoli che sulla presenza dell’adulto di riferimento.

Nella terza tipologia di attaccamento il piccolo manifesta un marcato attaccamento nei confronti del genitore quindi è maggiormente centrato sulla relazione con l’adulto che sull’esplorazione dell’ambiente circostante. Nel quarto tipo di attaccamento il bambino ha un comportamento apparentemente simile a quello dei bambini Sicuri, Evitanti o Ambivalenti, ma in alcuni momenti sembra privo di una strategia coerente nella relazione con il genitore.

In che modo e che misura l’attaccamento genitoriale determina lo sviluppo dei bambini?

È chiaro ormai, che lo schema di attaccamento adottato dai figli, dipenda in particolar modo dal modo in cui i genitori li trattano. Inoltre, nell’adozione di una certo stile di comportamento, influisce senza dubbio la quantità e la qualità di cure che il piccolo riceve durante l’infanzia. Dunque, quando il bambino cresce, lo schema di attaccamento che lo caratterizza diventa via via più di sua proprietà e col tempo lo manifesta anche nelle relazioni con gli insegnanti, con il partner e con altre figure di attaccamento.

A tal proposito la dottoressa Annalisa Barbier, psicologa, spiega che: “disturbi dell’attaccamento si possono manifestare anche attraverso un comportamento di attaccamento eccessivo che può sfociare in una vera e propria dipendenza affettiva. Tipicamente femminile, questo disturbo può colpire anche il sesso maschile ed è solitamente legato alle dinamiche relazionali risalenti alla prima infanzia e relative al rapporto che la persona ha avuto con i genitori e le figure di riferimento. Quando il rapporto con le figure di riferimento, solitamente un genitore, è stato caratterizzato da comportamenti e dinamiche disfunzionali, la persona in questione crescendo tenderà a riprodurre tali aspetti in tutti i rapporti che sono importanti e coinvolgenti dal punto di vista emotivo e sentimentale. Riprodurrà quindi degli schemi di attaccamento e di relazione che non sono sani ma che rappresentano l’unica modalità sperimentata e meglio conosciuta di relazionarsi. Poiché non è infrequente che, nel maschio, tali comportamenti di eccessivo attaccamento possano sfociare in atteggiamenti aggressivi, possessivi e limitanti o nocivi per la partner”.

È chiaro quindi come le esperienze avute con i genitori durante l’infanzia, influiscano sul successivo sviluppo del bambino e su come condizionino anche la sua personalità, tramite soprattutto i loro effetti sul modo in cui l’individuo percepisce e organizza il mondo che lo circonda e il modo in cui si aspetta che le persone con cui sviluppare un legame di attaccamento, si potrebbero comportare con lui. Dunque il compito principale dei genitori, e in particolar modo della madre per i primi mesi di vita del bambino, è quello di porre le basi affinché si crei con lui un buon attaccamento, una base salda e sicura da cui il bambino possa partire per poi allontanarsi e fare le sue esperienze ed esplorazioni del mondo extra-genitoriale senza avere ansie e paure.