L’autolesionismo

Pubblicato il 20 giugno 2014 | Categoria: L'adolescenza, Lifestyle

La ferita crea un rifugio provvisorio, che consente all’individuo di riprendere fiato: […] serve a scaricare una tensione, un’angoscia che non lascia più alcuna scelta, nessun’altra risorsa – e di cui l’individuo deve potersi liberare”. Le Breton

Ma perché tagliarsi?

Il termine “Cutting” vuol dire tagliarsi la pelle con lamette o qualsiasi altro oggetto affilato, senza avere l’intenzione di uccidersi. È una forma di autolesionismo attuata in modo consapevole e ripetitivo.

Non esiste una spiegazione vera e propria per cui una persona può decidere di tagliarsi. Alcuni ragazzi/e che lo fanno è per controllare un dolore mentale, preferendolo al dolore fisico. Tagliarsi è un comportamento che spesso comincia nell’adolescenza, intorno ai tredici anni, diffuso soprattutto tra le ragazze. Le ferite autoprovocate sono un mezzo estremo per sconfiggere una sofferenza psicologica.

Per molti ragazzi tagliarsi dà l’illusione di una sensazione di sollievo. Emozioni come la disperazione, la tristezza, il sentirsi rifiutati, la solitudine e soprattutto la rabbia verso qualcun altro, sono tutti sentimenti che non fanno sentire a proprio agio le persone e in questo modo è come se si liberassero finalmente la mente. L’incapacità di gestire una situazione di malessere diventa rabbia contro se stessi e quindi tagliarsi può permettere di abbassare una tensione estrema.

I segni o le cicatrici lasciati da questi gesti autodistruttivi racchiudono tutta una serie di sofferenze che l’individuo non è ancora riuscito a buttare fuori. L’adolescenza si sa, è un periodo difficile per ogni ragazzo/a, non è un caso quindi che questi fenomeni sono molto più attivi in questa fase della crescita: il corpo che cambia, il desiderio sessuale, una propria identità sono fenomeni nuovi che un adolescente a volte non riesce a sostenere. Con il tagliarsi dunque si cerca una disperata via di fuga dall’incapacità di farcela a diventare grande.

L’adolescente tenta così di affermare se stesso, utilizzando l’unica cosa su cui gli sembra di potere esercitare un controllo: il proprio corpo.

Indicatori di cutting, burning o branding

Chi è affetto da autolesionismo e dicide di tagliarsi o bruciarsi, di solito lo fa di nascosto e carca di mantenere nascosto questo atteggiamento.
Gli indicatori di comportamenti si possono notare in questi semplici gesti:

  • indossare camicie o magliette con le maniche lunghe in piena estate;
  • macchie di sangue sui vestiti;
  • ferite, lividi o tagli non spiegati;
  • possesso di oggetti taglienti
  • isolamento, ad esempio passare molto tempo in bagno;
  • irritabilità;
  • difficoltà nel fronteggiare emozioni forti;
  • rabbia eccessiva o umore depresso;
  • disegni che hanno per tema il dolore, la tristezza.

Che fare dinanzi all’autolesionismo?

Chi soffre di autolesionismo va innanzitutto rispettato. Sembrerà assurdo, ma questo è il miglior modo per offrire sostegno ad un figlio o un amico. La persona che si taglia non ne è affatto fiera, anzi se ne vergogna e pensa che nessuno possa capire cosa prova. Offrire sostegno significa aiutarla a riconoscere le emozioni e a gestirle in modo diverso che con i tagli, incoraggiarla a capire che ci sono modi differenti all’autolesionismo per affrontare e risolvere determinati problemi, magari anche rivolgendosi ad un esperto.

Le emozioni positive

Secondo studi recenti, le persone che assumono attegiamenti autolesionistici, hanno una maggiore propensione ad alternare emozioni positive a quelle negative, con conseguenti e repentini cambiamenti di umore.

Queste persone possono oscillare rapidamente tra la serenità e la forte tristezza, tra la rabbia intensa e il senso di colpa. A volte emozioni contrastanti possono essere presenti contemporaneamente, e creare un forte caos a se stesse e a chi gli sta vicino.

I diversi approcci terapeutici, lavorano principalmente sulle emozioni negative. L’approccio di Marsha Linehan e la sua “Terapia Dialettico-Comportamentale” è totalmente differente. Sui pazienti con difficoltà a gestire le emozioni e con condotte autolesive, vengono prese in considerazione le emozioni positive e il loro sviluppo in terapia.

L’innovazione sta nel fatto che il lavoro terapeutico può anche essere volto ad ampliare e costruire un linguaggio emotivo positivo comune tra paziente e terapeuta in grado di ridurre gli effetti negati e concentrarsi su quelli positivi, tollerando le emozioni negative che sono alla base di comportamenti autolesionistici.
Se coltivate nel tempo, le emozioni positive possono costituire una protezione che consente alle persone di affrontare meglio gli eventi avversi futuri. Guidate dalle emozioni positive le persone possono gestire diversamente la soluzione a problemi. Lo psicologo e psicoterapeuta Massimiliano Curatolo, definisce così un problema emotivo: “Un problema emotivo è un problema che riguarda il nostro modo di affrontare le cose giorno per giorno. C’è chi soffre perchè non riesce ad esprimere a pieno se stesso, c’è chi soffre perchè ha perso qualcosa di importante e c’è anche chi soffre perchè non riesce ad affrontare un cambiamento. In tutti questi casi centrale è il ruolo delle emozioni: come sto? come mi sento? cos’è che mi sta succedendo?

I sentimenti di dolore, di vuoto, di ansia, il senso di confusione, definiti dai pazienti come esperienze affettive soggettive spiacevoli, che sono alla base delle condotte autolesioniste, possono essere alleviati condividendoli con gli altri, che siano amici, familiari o terapisti. In particolare, il lavoro sullo sviluppo delle emozioni positive è mirato a migliorare le relazioni con gli altri e a ridurre e tamponare le influenze delle emozioni negative e delle condotte che possono innescare. Per far sì che questa strategia di lavoro funzioni e che dia risultati, è importante il rapporto che si viene ad instaurare tra paziente e terapista.
Riuscire ad individuare la via per le emozioni positive, aiuta ad attuare una ristrutturazione cognitiva dell’evento che ha portato la persona, il paziente a compiere atti autolesivi, dandogli la possibilità di vivere l’evento con meno stress.

Integrare nella psicoterapia delle condotte autolesive la promozione delle emozioni positive appare quindi una strategia potenzialmente fruttuosa.