Non ami il tuo lavoro? Ecco come reagire al meglio!

Pubblicato il 7 aprile 2014 | Categoria: Psicologia, Psicologia e lavoro

Non c’è cosa peggiore, per la serenità e l’equilibrio personale, del doversi alzare ogni mattina per recarsi a lavoro, in fabbrica, in ufficio, in negozio o in studio, se non si è soddisfatti del proprio posto di lavoro.
In certi casi l’insoddisfazione è talmente forte che diventa una forma di tristezza vera e proprio.

Cambiare posto di lavoro ed essere felici?

Si, ma solo se si è davvero molto fortunati. Premesso che le difficoltà di trovare un buon posto, soprattutto in momenti di crisi come quelli che stiamo vivendo, non sono molto elevate, il vero problema è che cambiare posto spesso non risolve il problema aggiungendo ulteriore delusione alla frustrazione che già si vive.

E’ uno stato da non sottovalutare perché può portare ad aumentare la vulnerabilità nei confronti di malattie come la depressione, soprattutto in presenza di eventi cronicamente stressanti. Come dice lo psichiatra dr. Guglielmo Campione,pare accertata la presenza di vulnerabilità … in soggetti con familiarità per questo genere di disturbi. Per vulnerabilità si intende la maggiore predisposizione ad ammalarsi di depressione, come risposta ad eventi di vita stressanti”.

Cercare le cause

Per uscire da questo stato di disagio è necessario cercare le cause analizzando in modo analitico se stessi e l’ambiente di lavoro.
Alba Rosenberg McKay, esperta di pianificazione delle carriere che pubblica su un blog legato all’autorevole New York Times, suggerisce di iniziare l’analisi preparando una lista di tutte le cose che non ci piacciono del nostro lavoro.

La McKay suggerisce di inziare l’analisi quando si è più rilassati e fisicamente e mentalmente distanti dal lavoro, come durante un periodo di vacanza o, almeno, un weekend.

La prima regola è che non vale scrivere “tutto”. Questo vuol dire barare con se stessi e non avere realmente l’intenzione di provare ad affrontare la situazione perchè il segreto del successo dell’analisi è scomporre ogni problema nelle sue componenti elementari ed esaminarle una per una.
Per esempio, non è sufficiente scrivere “odio il mio capo” ma è necessario dettagliare ogni cosa che non ci piace del capo.

Destrutturare un problema complesso in unità semplici è un ottimo modo per iniziare a comprenderlo e la comprensione è la base della soluzione dei problemi.

La seconda parte dell’analisi riguarda la ricerca dei lati positivi ed anche in questo caso non è valido scrivere “niente”. L’esperta suggerisce di procedere con la massima attenzione ed esaminare qualunque aspetto riguardi, anche indirettamente, la giornata lavorativa. Non solo il capo, le mansioni o i colleghi ma anche l’ambiente esterno, le strade, il tragitto.

Un altro aspetto positivo importante, spesso sottovalutato, sono le possibilità di crescita professionale, sia quelle che molte aziende offrono ai dipendenti sia quelle dovute alle capacità personali.

Spesso, come scrive l’esperto Roy L. Cohen “un cattivo lavoro può essere un momento di passaggio indispensabile per riuscire a migliorare”. Il che ha più o meno lo stesso significato del vecchio detto militare. Per imparare ad impartire ordini bisogna prima aver imparato ad eseguire gli ordini ricevuti”.

Il passo successivo consiste nell’affrontare i problemi, semplificati, parlandone con chi di dovere, il capo, i vostri colleghi o quelle che vi sembrano le persone più indicate, in azienda.
Se non vi sentite sicuri nel compiere questo passo sia perché non siete certi di avere buone proposte sia perché pensate non ci siano possibilità di essere ascoltati potete provare a chiedere l’aiuto della vostra organizzazione professionale o del vostro sindacato.

Soltanto se avete fatto tutti i tentativi, senza alcun successo e se lo stress e l’insoddisfazione sono molto alti, allora è probabilmente il caso di lasciare il lavoro anche senza averne trovato uno nuovo. Il questo caso il rischio è più giustificabile.

Tenendo sempre presente sia la regola che “bisogna lavorare per vivere e non vivere per lavorare” e che quindi è possibile ridurre lo stress generato da un lavoro che non si ama anche cercando di valorizzare gli ambiti di vita fuori dal lavoro. La famiglia, gli interessi personali, lo svago.
Anche perché è meglio tenere sempre presente che un nuovo lavoro non è automaticamente meglio del vecchio e potrebbe rivelarsi addirittura peggiore. E se a questa delusione si dovessero aggiungere anche la fatica e lo stress generati dalla ricerca del lavoro, il rischio di ritrovarsi depressi diventerebbe molto elevato.