Bulimia: quali sono le cause di natura psicologica?

Pubblicato il 1 aprile 2014 | Categoria: Psicologia, Psicologia e alimentazione

La bulimia è uno dei più importanti disturbi del comportamento alimentare, insieme allanoressia nervosa. Chi ne soffre mostra un atteggiamento compulsivo nei confronti del cibo, arrivando a mangiarne quantità enormi in brevissimo tempo pur non provandone alcun desiderio.

Il nome deriva dal greco bous= bue e limòs= fame, letteralmente, quindi, significa fame da bue.
Fu descritta per la prima volta dallo psichiatra inglese Gerard Russell nel 1979. Russell intendeva, in questo modo, dare uno sviluppo autonomo ad una patologia diversa dall’anoressia, pur appartenendo alla stessa sfera, in modo che potessero essere diversificati sia l’approccio che i criteri diagnostici.

Quali sono i soggetti a rischio?

Soprattutto le giovani donne. La bulimia colpisce le donne nel 90% dei casi e si presenta tra l’inizio dell’adolescenza ( 12-14 anni) e l’inizio dell’età adulta (20-25 anni). Il picco lo si trova intorno ai 18 anni.

Non è una patologia rara dal momento che, nel mondo, colpisce tra l’1 ed il 4% delle donne. In Italia la percentuale si assesta sull’1% ma con importanti differenze tra zone geografiche. Al nord l’incidenza scende allo 0,5- 0,7% mentre nelle regioni meridionali sale fino all’1,8% della popolazione femminile.

Come si riconosce la bulimia?

A differenza dell’anoressia non è semplice individuare un paziente bulimico. Mentre l’anoressico è soggetto ad evidenti e patologiche perdite di peso, il bulimico non si presenta quasi mai in sovrappeso.

Il comportamento del paziente bulimico, inoltre, è diverso dal paziente anoressico. Il paziente bulimico mantiene la consapevolezza che il suo gesto è frutto di mancanza di controllo e, in qualche modo, tende a compensare il comportamento scorretto con soluzioni personali che vanno dal vomito autoindotto all’uso l’uso di lassativi e diuretici, a digiuni prolungati ed intenso esercizio fisico.

Questi tentativi di rimediare sono, spesso, molto dannosi oltre che indicativi della tipologia di paziente, tanto che la bulimia è stata suddivisa in due categorie proprio sulla base dei comportamenti dei pazienti:

  • bulimia con condotte di eliminazione – quando il paziente ricorre abitualmente al vomito autoindotto o all’uso incontrollato di diuretici e lassativi
  • bulimia senza condotte di eliminazione – quando il paziente ricorre a digiuno prolungato o ad intensa attività fisica ma mai al vomito autoindotto o ai farmaci.

Per riconoscere la bulimia nervosa è quindi necessario ricorrere alla diagnosi differenziale. I criteri previsti sono:

  • impulso a consumare grandi quantità di cibo con incapacità a controllarsi;
  • presenza di comportamenti compensatori come quelli descritti sopra;
  • frequenza almeno bisettimanale degli episodi di bulimia, documentati per almeno 3 mesi;
  • eccessiva attenzione al proprio peso ed aspetto fisico, che influisce in modo notevole sull’autostima ed è, spesso, il sintomo più importante per individuare il paziente bulimico perché è questa preoccupazione a portare il paziente dal medico nella maggior parte dei casi.

Cosa causa la bulimia?

Le cause del disturbo alimentare bulimico sono sempre gli stati d’ansia e di stress e le difficoltà nel saperli gestire.

Come si cura la bulimia?

Con un approccio terapeutico pluridisciplinare, come per l’anoressia. Neuropsichiatra, psicoterapeuta, nutrizionista sono le figure più importanti.
Il percorso psicologico è quello più importante, data la natura del disturbo.

Quale modello è meglio scegliere?

Secondo la dr.ssa Viola Nicolucci, psicologa, “.. il modello terapeutico più seguito è quello della terapia cognitivo-comportamentale (TCC) spesso associata a consulenze dietologiche e terapie a base di farmaci antidepressivi. l’approccio psicologico” “…può prevedere sedute di psicoterapia individuali, familiari o di gruppo ma queste ultime sembrano essere quelle più efficaci, soprattutto nelle adolescenti e nelle donne giovani”.