La mastoplastica additiva e il tumore al seno

Pubblicato il 11 aprile 2014 | Categoria: Chirurgia estetica, Chirurgia estetica come terapia

Rapido (la sua durata è di circa 30 minuti) ed ormai richiestissimo, l’intervento di mastoplastica additiva (generalmente bilaterale, eccetto nel caso si intenda porre rimedio ad una asimmetria) è, in parole povere, la nota operazione di chirurgia estetica finalizzata all’aumento di volume (ingrandimento) del seno. Intervento che ha da poco “festeggiato” i suoi 50 anni, come noto consiste nell’inserimento di una protesi di silicone al di sotto del muscolo pettorale, al di sotto della ghiandola mammaria ma sopra il muscolo pettorale o, infine, in “dual plane” ossia al di sotto della ghiandola mammaria e, solo parzialmente, in sede retromuscolare. È chiaro, dunque, che l’eventuale correlazione della mastoplastica additiva con lo sviluppo di un tumore al seno dipenderebbe dalla natura cancerogena dei materiali utilizzati per la fabbricazione delle protesi, ovvero dei materiali dei quali è costituita la membrana o di quelli che costituiscono il riempimento della protesi stessa, nell’ipotesi di un eventuale fuoriuscita in seguito a logoramento o rottura.

Esiste una correlazione?

Stando ai dati attualmente a disposizione, i materiali attualmente utilizzati – impiegati, ad esempio, anche per pacemaker, lenti intraoculari, articolazioni artificiali, ecc. – sono consentiti in quanto considerati non pericolosi e nocivi per la salute e, d’altronde, nelle donne portatrici di protesi mammarie non risulta esserci una maggiore incidenza di tumori al seno rispetto alle donne con seno naturale.

Come, del resto, conferma il dr. Pierfrancesco Bove, chirurgo plastico di Salerno, che afferma: “i rischi per una mastoplastica additiva, se eseguita correttamente ed in un ambiente idoneo, sono davvero minimi. Tra i più comuni, il rischio più temibile è la comparsa di un sieroma, ovvero un accumulo di siero, che può portare ad infezione ed a difficoltà nella cicatrizzazione”.

Dunque, nessun rischio?

È chiaro che, trattandosi dell’inserimento di un corpo estraneo, l’intervento di mastoplastica additiva non è da prendere a cuor leggero e, non a caso, in Italia è fatto divieto di sottoporsi a tale operazione se si è minorenni. Se infatti risulta essere leggenda la probabilità di “scoppio” dei cosiddetti seni rifatti in seguito ad aumento di pressione (generalmente in aereo), è invece un fatto il possibile logoramento delle protesi così come la loro rottura. È possibile affermare che la rottura spontanea non è verificata, mentre sono provati casi di rottura in seguito ad incidenti stradali o sportivi.

Così come risulta che, tra il 1992 ed il 2002, la pressione esercitata sulla mammella durante l’esame mammografico ha provocato in ben 58 casi la rottura delle protesi. Nel caso dei materiali che compongono la membrana (tripla, nelle versioni più recenti) il pericolo è il cosiddetto rigetto del corpo estraneo, che avviene nel 2% dei casi. Tale rigetto può causare un’infezione la cui manifestazione può avvenire nei primi 15 giorni oppure in seguito ad una lunga incubazione della durata anche di tre o quattro anni.

Incapsulamento e linfoma: un rischio minimo

In alternativa, è possibile il formarsi della cosiddetta contrattura capsulare, una sorta di ascesso che porta appunto alla formazione di una capsula fibrosa spessa e densa intorno alla protesi ed al conseguente irrigidimento della mammella. È questa la ragione per cui torna in sala operatoria il 23% delle donne che si sono sottoposte a tale intervento e decidono o devono operarsi per una seconda volta. Pare che in alcune etnie l’incidenza dei casi di incapsulamento sia maggiore, così come maggiore è la possibilità di una contaminazione nel caso di incisione sotto l’areola o l’ascella, ragion per cui la zona più consigliabile risulta essere quella del solco sottomammario.

Quattro sono i “gradi di gravità” della contrattura capsulare: nel primo il seno rimane morbido ed all’apparenza naturale; nel secondo la percezione tattile restituisce un seno leggermente più sodo ma visivamente normale; nel terzo il seno è rigido e la forma leggermente distorta; nel quarto il seno, divenuto molto duro, risulta dolente e la forma è ormai con tutta evidenza innaturale. Laddove la contrattura non sia grave, per risolvere la criticità è sufficiente che il chirurgo, in pochi secondi, effettui la cosiddetta manovra “squeezing” per rompere l’involucro fibroso. È proprio in relazione al fenomeno dell'”incapsulamento” l’unica prova di correlazione tra intervento di mastoplastica additiva e linfoma, in una rara forma che si è verificata in soli 75 casi nel mondo con un totale di 4 decessi (su 10 milioni di donne portatrici di protesi, 150mila nuovi interventi ogni anno in Europa e 280mila negli Stati Uniti).

Tornando, invece, alla rottura delle protesi, il rilascio del materiale protesico pare non sia cancerogeno e, peraltro, negli impianti maggiormente all’avanguardia, la sostituzione non sarebbe neanche difficoltosa grazie ai gel coesivi utilizzati, che appunto non si disperdono neanche in caso di rottura, anche se esistono ovviamente, in questo caso, altri rischi legati alla reazione immunitaria dell’organismo.

Rischi indiretti: difficoltà diagnostiche connesse alla mastoplastica additiva

Il pericolo derivante dalla presenza in sé di una protesi sarebbe, invece, indiretto dal momento che, soprattutto alcuni materiali impiegati in passato, impediscono o rendono difficoltosi alcuni esami come la mammografia o la palpazione. Se, infatti, i materiali di cui son fatti le protesi più recenti si lasciano tranquillamente attraversare dai raggi X, ciò non avviene con protesi più datate ed, ovviamente, solo nel primo caso l’efficacia dell’esame risulterà invariata, mentre nel secondo caso la minore esplorabilità dei tessuti rende più difficoltosa la diagnosi di carcinoma mammario.

Un rischio che viene in pratica annullato dal posizionamento retromuscolare della protesi (una “scelta” del chirurgo che dipende dalle caratteristiche fisiche della donna che si sottopone all’operazione). Per questo motivo è indispensabile informare il personale addetto della presenza di protesi affinché vengano predisposte procedure che consentano un numero di proiezioni maggiori, anche se ciò a costo di una maggiore esposizione alle radiazioni sia pur al di sotto dei limiti consentiti. È la cosiddetta panoramica di Eklund, infatti, che consente di analizzare al meglio i tessuti alla ricerca di cancro e/o lesioni. Ma è la risonanza magnetica, che non soffre l’interferenza del corpo estraneo in questione, l’esame di gran lunga più affidabile per lo studio della mammella con protesi.